INDICE DELL’ARTICOLO
1. Iconografia di una Madonna con gatto
2. Difficili attribuzioni
3. Un falso Leonardo
1. ICONOGRAFIA DI UNA MADONNA CON GATTO
Il grande genio Leonardo da Vinci (1452-1519) si è spesso cimentato nei suoi studi e disegni in motivi nuovi che non necessariamente hanno poi trovato una realizzazione pittorica, fermandosi in quella fase grafico-esplorativa tipica del suo atteggiamento curioso verso il mondo, fatto di conoscenza creativa manifestata a più livelli.
Intorno al 1478-1480 appare per la prima volta nei suoi disegni il motivo di una Madonna del gatto e il tema del bambino che gioca con un animale, in particolare ci si può riferire ad una serie di almeno 6 fogli dedicata a tale soggetto: tre studi per una Madonna del gatto disegnati sia al verso che al recto conservati al British Museum di Londra[1] (Fig. 1), uno studio custodito presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi di Firenze[2], un altro studio conservato al Musée Bonnat di Bayonne [3] in Francia e infine un ennesimo disegno in mano ad un Collezionista Privato a New York (Fig.2).
Nell’iconografia mariana le raffigurazioni della Madonna sono state rielaborate nelle più articolate varianti, introducendo con il tempo elementi, ambientazioni e personaggi familiari, in questo caso il componente che contraddistingue il rapporto tra madre e figlio, è certamente il gatto, animale che ha avuto una ricca e variegata letteratura storico-iconografica dai significati contrastanti (Fig.3).
Senza entrare troppo nel merito specifico della trattazione simbolica del felino, poiché non è questo l’argomento centrale che vuole trattare il presente contributo, a cui rinvio per un approfondimento l’esaustivo saggio della Prof.ssa Stefania Pasti[4], in cui è presente anche una dettagliata bibliografia di specifico riferimento al gatto, sarà comunque necessario qualche cenno generale utile ad inquadrarne i riferimenti simbolici e sfatare qualche erronea interpretazione.
Nel dizionario iconografico dei simboli[5] viene indicato come la cultura del gatto sia sempre stata contradditoria: la sua raffigurazione ha una storia antichissima, già nel 2.000 a. C. il gatto era conosciuto e addomesticato, la Dea egizia della pace Bastet protettrice dell’uomo era spesso raffigurata con forme feline. Per gli antichi romani il gatto era attributo della Dea della caccia Diana e in quanto tale venerato e idolatrato, ma a partire dal XIII secolo la sua fama cominciò ad essere associata al maligno, la mutevolezza dei suoi occhi era vista come un segno malefico e ad un certo punto venne accomunato alle streghe (e per questo anche sfortunatamente perseguito), mutando così anche il senso iconografico delle opere in cui venne rappresentato.
Se da un lato quindi si può trovare il gatto rappresentato nell’Ultima Cena vicino a Giuda in segno di tradimento[6], dall’altro ecco la versione giocosa dell’animale domestico, nell’accezione più odierna del rapporto tra l’uomo e l’animale, che viene immortalato nei disegni leonardeschi.
In uno dei fogli conservato al British Museum, elaborato su entrambi i lati, è possibile osservare una serie di varianti del bambino raffigurato solo con l’animale: lo tiene in braccio, giocano, in un piccolo abbozzo sembra prenderlo per il collo e possiamo quasi immaginare il felino nel probabile atto di svincolarsi da una morsa troppo stretta del fanciullo durante il gioco. Negli altri due fogli del British Museum ecco la composizione nella sua completezza con la figura della Madonna risolta interamente, da cui è presumibile ipotizzare che questi lavori siano stati eseguiti per ultimi (Fig. 5).
Nel primo foglio, la figura è circoscritta all’interno di una nicchia e viene ripetuta capovolgendo il foglio e delineando i contorni del disegno sull’altro lato, in cui l’esecuzione, oltre al tratteggio a penna e inchiostro similare al precedente studio, viene arricchito da un morbido acquerellato con pigmento bruno. Versione affine la Madonna del gatto in Collezione Privata, le cui varianti più significative sono nell’inclinazione del volto di Maria e del bambino, che non rivolge più l’attenzione verso l’animale, ma è orientato verso lo spettatore.
Di grande dolcezza il modello presente nel terzo foglio del British Museum in cui la madre avvolge con il proprio braccio il bambino che a sua volta stringe a sé il gatto, altrettanto amorevole la versione custodita al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (Fig. 4) in cui la Madonna fisicamente più distante posa il bambino sul cuscino mentre lui tiene il gatto, il corpo della donna è leggermente ruotato di tre quarti e il viso rivolto in basso, verso Gesù, in una posa tipica della pittura fiorentina di fine Quattrocento.
Tutte queste scene evocano l’affetto e l’amorevolezza di un ambiente domestico, di un contesto intimo familiare in cui la madre cresce il proprio fanciullo attraverso il profondo legame d’ amore che sin dalla tenera età può instaurarsi con l’animale. Leonardo ha esplorato la varietà dei movimenti del felino (Fig. 6), probabilmente divertendosi nell’osservare l’alternarsi tra scaltrezza e la voglia di carezze tipica del gatto. Il segno grafico di Leonardo come disse Giulio Carlo Argan[7], non si limita a raffigurare cose, ma ne trascrive il processo della mente pensante e assieme alla pittura rappresentano i mezzi con cui si compie l'esperienza e quindi si acquista la conoscenza.
Ma se da un lato possiamo ipotizzare la scelta dell’animale associata ad una copia dal vero, tale scelta apparentemente non ha legami simbolici con l’iconografia sacra rappresentata, a cui invece solitamente sono attribuiti animali come l’agnello o il cardellino, eccetto per l’ipotesi avanzata da alcuni studiosi[8] i quali sostengono che la preferenza non convenzionale, possa essere stata concepita a seguito di un’antica leggenda orientale proposta in differenti interpretazioni, che narra di una gatta presente nella stalla di Betlemme dove Giuseppe e Maria trovarono rifugio per la notte in vista dell’imminente nascita e che partorì in contemporanea all’avvento del Cristo Bambino.
L’ipotesi leggendaria è stata però smentita dalla studiosa Elisabeth Foucart-Walter, Curatore del Dipartimento di Dipinti del Museo del Louvre e segretario della Società per la Storia dell'Arte Francese, che chiarì che trattasi di una storia totalmente inventata in The gospel of the holy twelve written down and pub. by the Late[9] del 1923 e ripresa come autentica nel 1930 in The cat in the misteries of religion and magic da M. Oldfield Howey[10].
Come accennato in premessa, questi studi della Vergine e del bambino con un gatto sono stati sviluppati graficamente ma non hanno trovato uno specifico seguito pittorico, seppur abbiano rappresentato certamente un passaggio significativo nell’elaborazione di altri dipinti del maestro Toscano.
2. DIFFICILI ATTRIBUZIONI
Rimane aperto il quesito secondo cui molti studiosi si interrogano ancora oggi sul fatto se effettivamente Leonardo abbia esaurito con l’elaborazione di quei disegni l’interesse per una Madonna del gatto o se invece prese vita anche un modello pittorico andato poi disperso. Tale congettura non sarebbe del tutto da escludere se si prende in considerazione l’unico esemplare di ambito leonardesco affine agli studi disegnati dal maestro.
È dato certo infatti che senz’altro almeno uno dei discepoli leonardeschi avesse conosciuto gli studi citati o un eventuale ipotetico dipinto disperso, riconducibile all’opera conservata alla Pinacoteca di Brera (Fig. 7) Madonna con il Bambino e l’agnellino (olio su tavola 60 x 52 cm, 1502-1505, Inv. 1162)[11] esposto con la duplice proposta attributiva ai due Ferrando Spagnuolo: entrambi soggiornarono in Italia e uno dei due, secondo le fonti nel 1505, collaborò alla realizzazione della perduta Battaglia di Anghiari a Palazzo Vecchio in Firenze e trattasi più compiutamente di Fernando Yáñez de la Almedina (1475-1537) e Fernando de los Llanos (1470 ca.-1525 ca.) di cui è possibile leggere un ulteriore approfondimento in questo contributo Dos Fernandos: i Leonardeschi Spagnoli.
L’opera venne acquistata nel 1891 con l’attribuzione a Giovanni Antonio Bazzi detto Il Sodoma (1477-1549), citato in riferimento a questo autore nella pubblicazione Leonardo da Vinci del 1943[12] e archiviata al Sodoma anche nella fototeca della Fondazione Zeri[13]; fu ascritta successivamente ai due Fernando dal Prof. P. C. Marani, quando nel 1996 a seguito del restauro della tavola e della campagna di indagini diagnostiche, emerse chiaramente dalla Riflettografia IR che sotto l’agnellino era stato precedentemente dipinto un gatto, un altro ripensamento era presente nell’acconciatura della Madonna, consentendo di riconoscere con maggior forza gli elementi filo-leonardeschi (Fig. 8-9).
Il Prof. Marani successivamente attraverso la pubblicazione dedicata[14] restituì l’opera a Fernando Yáñez de Almedina, ma tale attribuzione non venne accolta dal Prof. Ibáñez Martínez nella monografia dedicata all’autore spagnolo, che ha fatto ordine e chiarezza nell’ambito del corpus pittorico dell’artista[15].
D’altro canto, invece, come illustrato nel contributo dedicato ai due spagnoli, Dos Fernandos: i Leonardeschi Spagnoli, lo storico dell’arte Ibáñez Martínez accoglie il dipinto dei Santi in un paesaggio, gli eremiti (olio su tavola 67 x 51 cm. 1500-1505, Pinacoteca di Brera, Milano)[16] che invece a Brera rimane ascritto al più generico Pittore Spagnolo. Lo stesso dipinto era invece stato assegnato dal curatore del dipartimento di pittura italiana alla National Gallery of Art di Washington, David Alan Brown, all’altro spagnolo, ossia Fernando de Llanos, per poi rettificare in un secondo momento e allinearsi con la proposta a Fernando Yáñez de Almedina[17].
1. UN FALSO LEONARDO
L’assenza di un prototipo pittorico di questa invenzione compositiva attribuibile alla mano di Leonardo ha generato negli anni ‘30 del Novecento un clamoroso caso di falsificazione (Fig. 10).
Nel 1939 venne presentata per la prima volta alla mostra della Triennale dei Musei del Castello Sforzesco a Milano la perduta Madonna del gatto di Leonardo: finalmente gli studiosi di tutto il mondo avrebbero potuto sciogliere il grande enigma sull’esistenza o meno dell’opera tratta dai più ben noti studi leonardeschi.
La scoperta entusiasmò a tal punto che il noto storico dell’arte Adolfo Venturi (1856-1941) la presentò urbi et orbi con un suo saggio nel periodico L’Arte decantandone la bellezza e lo straordinario ritrovamento[18]. Con grande enfasi egli scrisse:
«(…) Tutto fa credere che la Madonna del Gatto, più semplice, più schietta, sia uscita prima dalle mani di Leonardo da Vinci; ma egli non dette alla bella opera compimento, e ancora si vedono le tracce del segno conduttore, nella destra della Vergine e nei contorni del gatto (…).»[19].
«(…) Così Leonardo dipinse questa Madonna giovinetta, in veste morella, a pieghe verrochiesche, con le carni rosate, come quelle del bimbo, dallo sguardo intenso, gentilissimo, che stringe a sé il gatto per gioco, in un ambiente che s'apre sulla campagna chiusa da montagne rocciose, colorita d'aria azzurra, trasportata dai veli del crepuscolo nel dominio sconfinato del sogno.»[20].
L’opera fu accolta e acclamata dalla gran parte degli esperti dell’epoca, lo storico dell’arte e museologo Giorgio Nicodemi (1891-1967) dal 1928 alla guida della Soprintendenza dei Civici Musei milanesi, la dichiarò autentica. Menzione speciale per la pubblicazione tedesca del 1943[21] dedicata all’opera pittorica dell’artista e in cui il dipinto è incluso nel corpus dell’artista.
L’autore inserì la fotografia dell’opera prima e dopo il restauro, con annessa l’immagine della radiografia effettuata dal Dott. Flavio Gioia, si perché l’abilità del falsario fu tale che eseguì ad arte l’intero processo di invecchiamento del supporto, dal cretto sullo strato pittorico, alla patina di sporco, alle fenditure lungo le venature della tavola di legno che la attraversavano lacerandola (Fig. 11).
Ho tradotto dal tedesco in questa occasione il commento inserito in calce all’opera, che riporto qui pedissequamente:
«Tra i disegni di Leonardo della Madonna pervenuti a noi sono una serie di studi che sono stati combinati in questo lavoro a pagina 38 e seguenti che rimandano alla composizione della Madonna con il gatto. Sono per lo più ascritti alla prima epoca fiorentina, ovvero tra il 1475 e il 1478. Dall’anno scorso è stato notato su un disegno di Leonardo del Gabinetto delle Stampe della galleria degli Uffizi, una nota: "... bre 1478. Ho iniziato le due vergini Maria". Con ogni probabilità uno di loro era la Madonna con il gatto, un dipinto forse rimasto incompiuto e di cui si era fatto i conti. Carlo Noya, industriale savonese, ha scoperto una sorprendente somiglianza tra i disegni della Madonna del gatto e una tavoletta in suo possesso. Giorgio Nicodemi, supportato dall'approvazione di influenti ricercatori di Vinci come Mons. Enrico Carusi, Pietro Toesca, Bernardo Berenson, hanno riconosciuto l'età del dipinto. Si può attribuire, precisamente alla fine del '400 toscano, l'epoca dell'irradiazione dell'attività pittorica di Leonardo. La certezza di aver scoperto un documento prezioso anche per Adolfo Venturi, nel suo sempre giovanile entusiasmo era meravigliosamente vicino alla Madonna del gatto di Leonardo per esecuzione, stile e purezza della composizione, ha affermato e non ha esitato a riconoscere la mano del maestro nell'opera. I risultati degli esami radiologici ripetuti non contraddicono questo compito. Le parti principali del dipinto erano in condizioni eccellenti. Il Prof. Hans Sendresen ha eseguito un restauro leggero con la coscienziosità di un artista: la fessura della tavola è stata messa insieme, in alcuni punti sono stati stuccati i colori che si erano staccati dallo sfondo e il quadro ha ripreso la freschezza dei toni originali.»[22].
La breve dissertazione sull’opera fatta nel 1943 oggi rappresenta a mio avviso un documento prezioso nella storia delle erronee attribuzioni e nel riconoscimento del falso e nonostante fossero già stati eseguiti i primi rudimenti di analisi diagnostiche utili ad una visione tecnica più esaustiva dell’opera, studiosi autorevoli sono caduti nell’inganno del falsario.
La tavola fu portata al Castello Sforzesco da uno sconosciuto, un nobile collezionista che dichiarò di averla in casa da sempre e che al termine dell’esposizione la riportò subito via.
Già nel 1978 nella monografia su Leonardo della collana i Classici Rizzoli[23] l’opera non venne inclusa nel catalogo delle opere attribuite, ma venne inserita tra i modelli di derivazione da invenzioni del Maestro.
Riporto anche in questo caso la nota scritta:
«1939_In occasione della mostra leonardesca allestita a Milano si credette di aver reperito l’originale in un dipinto della raccolta Noya di Savona; ma in breve l’opera si rivelò una tarda e arbitraria composizione da disegni del maestro»[24].
La conferma certa della contraffazione arrivò quasi 50 anni dopo la prima apparizione del dipinto, ossia nel 1990, quando all’età di 91 anni morì il pittore genovese Cesare Tubino (1899-1990).
In un articolo inglese pubblicato sulla rivista Newsweek (Fig. 12), appena poche settimane dopo la sua morte, venne raccontata la vicenda secondo cui il dipinto leonardesco fosse appeso nella sua camera da letto e nel testamento rivelò la temuta verità:
«Leonardo non ha avuto niente a che fare con quest'opera»[25].
Il pittore abile nella riproduzione di dipinti antichi era noto per aver realizzato perfette copie da autori come Antonio del Pollaiolo (1431-1498) o Lucas Cranach detto il Vecchio (1472-1553).
Nel 1939 sembrerebbe si fosse accordato con un nobile affinché portasse l’opera all’esposizione di Milano, ma l’intento di Tubino non era di natura fraudolenta, lo dimostra il fatto che poi riprese l’opera conservandola per i successivi 50 anni, piuttosto la sua si potrebbe definire una sfida tecnica al grande maestro Rinascimentale nell’imitarlo e soprattutto nel voler mettere alla prova la conoscenza di esperti e studiosi.
Il motivo scatenante della contraffazione parrebbe da ricercarsi in un atto di protesta per la pesante censura praticata dal regime Fascista, non a caso, l’evento scelto fu quello dell’esposizione nei Musei del Castello Sforzesco, in cui sotto la guida del già citato Soprintendente Giorgio Nicodemi il riordino delle collezioni dei musei milanesi furono fortemente influenzate dalle scelte ufficiali del regime fascista, ivi compreso il riallestimento al Castello Sforzesco in cui vennero sostitute le sale di gusto prettamente antiquariale con l'ambientazione in stile fascista.
La tavola, sapientemente invecchiata da Tubino, raffigurava il bambino posato su un cuscino mentre tiene in braccio un gatto a pelo giallo, la Madonna a sua volta accarezza l’animale, il volto è leggermente inclinato e rivolto verso il Gesù, sullo sfondo una finestra ad arco si affaccia su un paesaggio.
In campo di falsificazioni l’opera è quella che si può definire un pasticcio, ossia quell’espediente compositivo che consente al falsario di mettere assieme singoli elementi desunti da opere dello stesso autore, producendo un nuovo quadro nel suo stile, ma inedito. Se poi come in questo caso la composizione può avvalersi di un ciclo di disegni a tema, il raggiro per esperti e collezionisti è presto fatto.
Andando ad analizzare la composizione nel dettaglio appaiono abbastanza evidenti i motivi ispiratori di Cesare Tubino: Maria con il bambino posato sul cuscino è ripreso senza ombra di dubbio dal disegno conservato al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi di Firenze[26]; l’inquadratura generale delle figure, la rotazione di tre quarti della Madonna, la posa del Bambino con una gambetta leggermente flessa sono da ricondursi alla Madonna Benois[27] e già riferibili allo stesso disegno di Firenze, altresì all’impianto compositivo complessivo con la finestra posta a destra.
Il paesaggio montuoso visibile dall’ affaccio esterno è assimilabile alla vista oltre il loggiato ad archi presenti nella Madonna del Garofano[28] (Fig. 13).
La posizione raggomitolata del gatto sembra essere più una rielaborazione ricavata dall’intreccio delle mani tra madre e figlio presente nella Madonna Benois, poiché in nessuno dei disegni leonardeschi il gatto è raffigurato in quella posizione, oltretutto appare abbastanza innaturale se confrontato allo studio sul movimento del felino appuntato dal maestro Toscano. Anche il panneggio della veste di Maria sembrerebbe ripreso dalla versione Benois, l’acconciatura della stessa figura invece è stata rielaborata tenendo a riferimento quali modelli più opere, quali ancora una volta senz’altro la Madonna Benois, ma anche la Vergine delle Rocce nella versione di Parigi[29] .
La resa cromatica d’insieme della pittura è riconducibile maggiormente alla Madonna del Garofano.
Come spesso accade poi per la figura controversa del falsario, anche Cesare Tubino ha raccolto una fortuna postuma, l’abilità dell’inganno, una volta sventato, spesso affascina: nel 2004 fu organizzata una retrospettiva a lui dedicata a Palazzo Luigi Einaudi di Chivasso, Cesare Tubino-Ritratto di un artista ritrovato.
Un viaggio espositivo alla riscoperta dell’artista che aveva osato sfidare Leonardo e che sino alla sua morte ha tenuto nascosto il suo segreto, forse in cuor suo sapeva che avrebbe anche potuto ingannare gli storici dell’arte di tutto il mondo, ma il maestro supremo che tanto voleva imitare non lo avrebbe mai apprezzato: non c’è copia che possa avere lo stesso valore dell’originale[30], scriveva nel 1496 nel suo celebre Trattato della pittura, Stultum imitatorum pecus!
TAMARA FOLLESA
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NOTE
[1] British Museum Londra, Collezione online Leonardo Da Vinci Drawing, n. 1856,0621.1 in https://www.britishmuseum.org/collection/object/P_1856-0621-1 (ultima consultazione 3 settembre 2020).
[2] Progetto Euploos Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, Leonardo Da Vinci n. 421 E. r.
[3] Musée Bonnat-Helleu di Bayonne, Collezione online in https://webmuseo.com/ws/musee-bonnat-helleu/app/collection/record/436?vc=ePkH4LF7w6yelGA1iJESjsjVxwwNpBCHJnyf1Py8xKKUfAWXRIUwYMRkgitkWAAAAKF1KSU$ (ultima consultazione 3 settembre 2020).
[4] Vedi Pasti S., Giulio Romano e la Madonna della gatta: uno studio iconografico in «Storia dell'Arte» n. 31, Cam Editrice, 2012, pp. 27-61.
[5] Chisesi I., Dizionario Iconografico dei Simboli, Bur Rizzoli, Milano 2000, p. 243.
[6] Un esempio di questo modello iconografico è visibile nel Cenacolo di San Marco (Ultima Cena, affresco, 400 x 810 cm, 1486 circa, Museo nazionale di San Marco, Firenze), dipinto da Domenico Ghirlandaio (1448-1494).
[7] Argan G. C., Pedretti C., Calvesi M. et al., Leonardo la pittura, Giunti, Firenze, 1997.
[8] Bambach C.C., Leonardo da Vinci: master draftsman, New Haven 2003, p. 292.
[9] The Gospel of the holy twelve, an original and complete Gospel written down and published by the late Rev. G.J. Ouseley, with introduction and notes by E. Francis Udny M.A. Priest in the Liberal Catholic Church, Edson Limited London, 1923.
[10] Pasti S., Giulio Romano e la Madonna della gatta: uno studio iconografico in «Storia dell'Arte» n. 31, Cam Editrice, 2012, nota 75, p. 58.
[11] Collezione Online Pinacoteca di Brera Milano in https://pinacotecabrera.org/collezione-online/opere/madonna-col-bambino-e-lagnellino/ (ultima consultazione 3 settembre 2020).
[12] Luttke Verlag G., Leonardo da Vinci, Dritte Auflage, Berlino, 1943. p. 39
[13] Fototeca Fondazione Zeri, scheda opera n. 34214 in http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda/opera/35962/Leonardo%20da%20Vinci%2C%20scuola%2C%20Madonna%20con%20Bambino%20che%20gioca%20con%20l%27agnello (ultima consultazione 3 settembre 2020).
[14] Marani P. C., La Madonna del gatto di Leonardo in un dipinto della Pinacoteca di Brera: nuove indagini e restauri, Milano 1996.
[15] Ibáñez Martínez P. M., Fernando Yáñez de Almedina: (sobre la incógnita Yáñez), Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha, 1999.
[16] Collezione Online Pinacoteca di Brera Milano in https://pinacotecabrera.org/collezione-online/opere/scene-dalla-vita-di-san-gerolamo-san-francesco-in-estasi-e-frate-leone/ (ultima consultazione 3 settembre 2020).
[17] Villata E., Due nostre donne di varie grandezze di Leonardo a Milano in «Arte Lombarda», 2011, nota 13, p. 10.
[18] Venturi A., La Madonna del gatto in «L’Arte» N.S, 10, 1939, pp. 217-221.
[19] Ivi, p. 218.
[20] Ivi, p. 221.
[21] Luttke Verlag G., Leonardo da Vinci, Dritte Auflage, Berlino, 1943, p. 97.
[22] Ibidem.
[23] Ottino della Chiesa A., Pomilio M., L’opera pittorica completa di Leonardo, Classici dell’Arte Rizzoli, Milano, 1978, Catalogo n. 123, p. 115.
[24] Ibidem.
[25] ANSA, The return of the Mysterious Madonna in «Newsweek» del 22 ottobre 1990.
[26] Leonardo da Vinci, Recto del foglio Studio per Madonna col Bambino e il gatto, disegno su carta cerulea a penna e acquerello, 12,5 x 10,5 cm, 1478 ca, inv. 421, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Museo degli Uffizi, Firenze.
[27] Leonardo da Vinci, Madonna Benois, olio su tavola trasportato su tela 48x31 cm, 1478-1432 ca, Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo.
[28] Leonardo da Vinci, Madonna del Garofano, olio su tavola, 62 cm x 48 cm, 1473 ca, Alte Pinakothek Monaco.
[29] Leonardo Da Vinci, Vergine delle Rocce, olio su tavola, 199 x 122 cm, 1483-1486, Museo del Louvre, Parigi.
[30] Da Vinci L., Trattato della pittura, I Mammut grandi tascabili Newton, Roma, 1996, p. 5-p. 45.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- ANSA, The return of the Mysterious Madonna in «Newsweek» del 22 ottobre 1990 in https://digilander.libero.it/cesaretubino/inserto newsweek.html/ (ultima consultazione il 12 maggio 2020);
- Argan G. C., Pedretti C., Calvesi M. et al., Leonardo la pittura, Giunti, Firenze, 1997;
- Bambach C.C., Leonardo da Vinci: master draftsman, New Haven 2003, pp. 290-295;
- Cardellini W., Leonardo da Vinci e la Madonna del gatto: quando il fine giustifica i mezzi in «Fogli e Parole d'Arte» del 06 ottobre 2014 in https://www.foglidarte.it/il-rinascimento-oggi/423-leonardo-da-vinci-e-la-madonna-del-gatto-quando-il-fine-giustifica-i-mezzi.html (ultima consultazione il 12 Maggio 2020);
- Chisesi I., Dizionario Iconografico dei Simboli, Bur Rizzoli, Milano 2000, p. 243;
- Da Vinci L., Trattato della pittura, I Mammut grandi tascabili Newton, Roma, 1996, p. 5-p. 45;
- Ibáñez Martínez P. M., Fernando Yáñez de Almedina: sobre la incógnita Yáñez, Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha, 1999;
- Luttke Verlag G., Leonardo da Vinci, Dritte Auflage, Berlino, 1943, p. 39- p. 97;
- Marani P.C., Leonardo e i leonardeschi a Brera, Firenze 1987;
- Marani P. C., La Madonna del gatto di Leonardo in un dipinto della Pinacoteca di Brera: nuove indagini e restauri, Milano 1996;
- Ottino della Chiesa A., Pomilio M., L’opera pittorica completa di Leonardo, Classici dell’Arte Rizzoli, Milano, 1978;
- Pasti S., Giulio Romano e la Madonna della gatta: uno studio iconografico in «Storia dell'Arte» n. 31, Cam Editrice, 2012, pp. 27-61;
- Patalino R., La Repubblica del 9 ottobre 1990;
- Pedretti C., Leonardo, il disegno, Art Dossier Giunti, Firenze, 1992;
- Venturi A., La Madonna del gatto in «L’Arte» N.S, 10, 1939, pp. 217-221;
- Verga C., I falsi che rivelano anche grandi artisti in «La Lampadina, Periodiche Illuminazioni» del 19 giugno 2015 in https://www.lalampadina.net/magazine/2015/06/attualita-i-falsi-che-rivelano-anche-grandi-artisti/ (ultima consultazione il 03 Maggio 2020);
- Villata E., Due nostre donne di varie grandezze di Leonardo a Milano in «Arte Lombarda» 2011, pp.7-13.
ARCHIVI/FONTI
- BIASIA, Periodi Italiani Digitalizzati;
- BRITISH MUSEUM, Collezione online;
- EUPLOS, Gabinetto dei disegni e delle stampe;
- MUSÉE BONNAT-HELLEU, Collezione online;
- NATIONAL GALLERY OF ART OF WASHINGTON;
- PINACOTECA DI BRERA MILANO, Collezione online.